Il Disturbo di Panico

Che cos'è il Disturbo di Panico (DP)?

È una malattia in cui compaiono improvvise crisi di ansia, con un profondo malessere fisico accompagnato da una intensa paura. Gli attacchi sono in genere inaspettati e ricorrenti e l'esordio del disturbo è dato da un attacco di notevole intensità durante una situazione di routine, come lavorando o guidando l'auto, guardando la televisione o passeggiando per strada. Il timore che possa verificarsi un nuovo attacco e che facilmente questo avvenga nelle stesse situazioni precedenti favorisce la comparsa di ansia anticipatori e di condotte di evitamento.

Quali sono i sintomi del DP?

Gli attacchi di panico possono essere molto diversi, ma hanno sempre alcuni caratteri in comune:

ï una insorgenza improvvisa spesso “a ciel sereno”

ï una durata breve, da pochi secondi a svariati minuti;

ï una penosa sensazione di impotenza e di minaccia per la propria integrità psicofisica;

ï una remissione più graduale con una prolungata sensazione di stanchezza profonda, di instabilità e di stordimento.

Un attacco di panico comprende:

  • manifestazioni soggettive: il paziente esperisce un vissuto di ansia in cui concomitano sensazioni di malessere, di impotenza di estremo disagio, di terrore, culminanti spesso nella paura di morire, di impazzire o di perdere il controllo sulle proprie azioni.
  • manifestazioni somatiche: Tra queste si hanno sintomi cardiorespiratori, quali tachicardia, dolori precordiali, oppressione toracica, dispnea, sensazione di affogare; sintomi neurologici tra cui tremori, parestesie, cefalea; sintomi vestibolari del tipo sensazioni di camminare su di un terreno accidentato o sulla gommapiuma, instabilità, sensazioni di sbandamento. Possono inoltre essere presenti sudorazione, brividi di freddo, nausea, dolori o crampi addominali, diarrea, bisogno urgente di urinare.
  • manifestazioni psicosensoriali: Consistono in sentimenti di irrealtà, ipersensibilità alla luce ed ai suoni, sensazione di accelerazione del corso del pensiero, modificazione percettiva delle distanze, rallentamento della nozione del tempo.
  • manifestazioni comportamentali: In genere si ha l'interruzione delle attività svolte, mentre più raramente si è obbligai alla fuga dal luogo o dalla situazione in cui avvenuta la crisi con la ricerca di un ambiente familiare e rassicurante.

Qual è il decorso del DP?

Il primo episodio può generare la paura che la crisi possa ripetersi. Questa condizione, definita “ansia anticipatoria”, può riempire l'intera giornata e raggiungere un'intensità tale da risultare invalidante con un disagio maggiore degli stessi attacchi di panico. In questa fase compare la ricerca di rassicurazione, talora con modalità scaramantiche; nel tentativo di superare il timore della nuova crisi vengono utilizzati oggetti vari quali gli occhiali scuri, la boccetta dell'ansiolitico, l'ombrello. Con il perdurare delle crisi e per la tendenza ad associare gli attacchi a situazioni e luoghi specifici si strutturano, nella maggior parte dei casi, le condotte di evitamento fobico. Evitando di rimanere soli, di allontanarsi da casa, di recarsi in luoghi affollati, di usare mezzi pubblici eccetera, gli attacchi di panico divengono meno frequenti e più tollerabili. Si parla di “Agorafobia” quando le limitazioni imposte dal disturbo interferiscono con attività importanti per la vita di tutti i giorni. La paura di morire o di perdere improvvisamente il controllo costituiscono la base delle condotte agorafobiche e le situazioni che i pazienti evitano sono quelle nelle quali può risultare difficile fuggire o ricevere aiuto nel caso di una crisi improvvisa. Essi sviluppano la “paura di avere paura”. Alcuni diventano completamente incapaci di uscire di casa o possono allontanarsi solo in compagnia di una persona rassicurante nella quale ripongono particolare fiducia (compagno accompagnatore). Dopo la comparsa degli attacchi di panico il paziente si sottopone a visite mediche ed accertamenti strumentali che mettono in evidenza soltanto una condizione di tensione emotiva, con aumento del ritmo respiratorio e cardiaco, ma senza il rilievo di alcuna malattia fisica. In circa il 30% dei casi compare una fase di “Polarizzazione Ipocondriaca”, nel corso della quale è presente la convinzione di essere affetti da una malattia fisica ed il paziente si sottopone ad un numero sempre maggiore di accertamenti che hanno solo un parziale effetto rassicurante. I timori riguardano in genere la paura di una morte improvvisa per infarto del miocardio o per ictus cerebrale e sono rafforzati dal fatto che non viene individuata una causa e non si pone una corretta diagnosi di disturbo d'ansia per una sintomatologia che, nonostante l'intensità dei sintomi soggettivi, è in genere minimizzata dai medici per la scarsità di reperti obbiettivi. Il grande numero e la varietà dei sintomi presenti in questa fase del disturbo può portare alle più diverse formulazioni diagnostiche ed i pazienti finiscono per consultare molti medici ed intraprendere numerosi trattamenti senza alcuna efficacia sul decorso della malattia.

Chi può ammalarsi di DP?

Nella popolazione generale è stata evidenziata una prevalenza annuale del disturbo di attacchi di panico compresa tra lo 0,4% e l'1,5%, senza che siano state rilevate differenze per quanto riguarda il livello socioeconomico. Il disturbo tipicamente inizia in età giovanile con esordio compreso tra i 15 ed i 35 anni ed è più frequente nelle donne rispetto agli uomini con un rapporto di tre ad uno.

Quali disturbi possono associarsi al DP?

I disturbi che più frequentemente possono associarsi al DAP fanno parte sia dello spettro dell'ansia che di quello dell'umore.

  • Depressione: la sovrapposizione di una sintomatologia depressiva rappresenta  un'evenienza comune nel decorso del DAP. In alcuni pazienti assume il carattere di una demoralizzazione secondaria con sentimenti di inutilità, di inadeguatezza e di perdita degli interessi; permane tuttavia una certa reattività agli stimoli ambientali e non sono presenti gravi sintomi neurovegetativi a carico del sonno, dell'appetito e della sfera sessuale. Nel periodo immediatamente successivo all'attacco di panico alcuni soggetti possono presentare uno stato di profonda prostrazione con astenia, talora seguita da sonnolenza, che quando perdura alcuni giorni può favorire un quadro sintomatologico assimilabile per alcuni aspetti ad una "depressione rallentata" con ipersonnia, difficoltà di concentrazione, mancanza di energia.
  • Suicidio: nei pazienti con DP e Agorafobia è stato rilevato un rischio di suicidio superiore rispetto alla popolazione generale quando il disturbo si presenta associato a depressione ed abuso di alcool e sedativi. In altri casi le tematiche autolesive sono assenti ed il rischio di suicidio è modesto.
  • Abuso di sostanze: nel tentativo di dominare le crisi e di attenuare l'ansia anticipatoria è frequente il ricorso all'assunzione di ansiolitici. L'uso ditali farmaci non è in grado tuttavia di bloccare e prevenire gli attacchi di panico e favorisce inoltre un circolo vizioso che conduce all'abuso e alla dipendenza senza risolvere il quadro psicopatologico. Più grave, anche se meno frequente, è l'abuso di alcolici, solitamente avviato da tentativi autoterapeutici, che può progredire verso una vera e propria dipendenza. È da tener presente che l'uso di alcool interferisce sull'azione dei farmaci antipanico.
  • Fobia semplice: molte persone con DP sviluppano spesso paure irrazionali di eventi o situazioni specifiche che associano con la possibilità di avere un attacco.
  • Fobia sociale: il persistente timore di tutte quelle situazioni nelle quali la persona si sente osservata e giudicata dagli altri, come ad esempio mangiare, parlare, mostrarsi in pubblico, può scatenare manifestazioni ansiose sovrapponibili a quelle di un attacco di panico senza presentare, peraltro, la sensibilità alla rassicurazione tipica del DP, oppure associarsi alla fenomenica ansiosa.
  • Disturbo d’ansia generalizzata: l'ansia generalizzata può presentare caratteristiche assimilabili a quella anticipatoria pur distinguendosi da essa per il tipo di attesa apprensiva e perché la preoccupazione  riferita ad un vasto spettro di situazioni ed eventi della vita di tutti i giorni.

Come è possibile curare il DP

La paura dei possibili effetti dei farmaci diviene in molti casi una vera e propria fobia che interferisce con l'accettazione delle terapie farmacologiche. La maggior parte delle persone con DP che giunge all'osservazione dello specialista è disorientata dalle diverse interpretazioni e diagnosi attribuite ai loro sintomi, per cui il primo momento terapeutico di grande importanza è fornire una chiara spiegazione del disturbo. Questo serve a dimostrare che l’esperienza provata corrisponde ad un'entità clinica conosciuta, per la quale esistono trattamenti specifici farmacologici e psicoterapici.

  • Terapia farmacologica: Numerosi studi clinici hanno evidenziato l'efficacia di alcuni composti nella terapia del DP, tra i quali gli antidepressivi tricidici, gli inibitori delle monoaminossidasi, alcune benzodiazepine “ad alta potenza” (alprazolam, clonazepam) e gli inibitori del reuptake delle serotonina (IRS). Gli antidepressivi triciclici costituiscono i farmaci che per primi hanno dato effetti benefici: l'imipramina è il triciclico più comunemente usato in questa condizione. Il trattamento viene iniziato con bassi dosaggi ed aumentato progressivamente allo scopo di saggiare la tollerabilità e gli effetti indesiderati. Questi ultimi si presentano all'inizio della cura e tendono ad attenuarsi dopo alcuni giorni; essi sono: bocca secca ed amara, aumento della sudorazione, tachicardia, vista annebbiata, sonnolenza, stitichezza. Benché fastidiosi non devono allarmare il paziente nè indurlo a intempestive sospensioni del trattamento. L’alprazolam (una benzodiazepina) possiede una rapida e dimostrata efficacia ed è ben tollerato dal paziente; queste caratteristiche lo rendono indicato soprattutto nelle fasi iniziali del trattamento, anche in associazione con altri farmaci antipanico. Con le benzodiazepine, tuttavia, può insorgere iniziale sonnolenza e la terapia non va prolungata oltre qualche settimana onde evitare lo sviluppo di dipendenza. Gli IRS sono dotati di una certa efficacia antipanico associata ad effetti collaterali molto ridotti. La remissione degli attacchi di panico tende ad attenuare l'ansia anticipatoria e a favorire la graduale scomparsa delle condotte di evitamento. Il paziente riesce quindi ad affrontare le situazioni temute in precedenza senza chi si verifichino crisi di ansia. Lo schema terapeutico prevede il progressivo aumento della posologia fino alla scomparsa delle crisi. Il trattamento deve essere mantenuto per un periodo di circa sei - otto mesi prima di procedere ad una graduale diminuzioni della posologia. Il possibile ripresentarsi degli episodi di panico consiglia il ritorno alle dosi precedenti.
  • Terapia comportamentale: Alcuni studi cimici hanno mostrato un effetto sinergico tra farmacoterapia e terapia comportamentale. L'associazione dei due tipi di trattamento è indicata principalmente nei pazienti agorafobici laddove prevalgono condotte di evitamento resistenti ad ogni altra forma di terapia. Le tecniche comportamentali più efficaci si basano sul confronto diretto “in vivo” o indiretto “in immaginazione” con le situazioni temute; l'esposizione “in vivo” effettuata in modo graduale consente risultati migliori e più rapidi rispetto al metodo indiretto. La terapia di esposizione “in vivo” non segue una procedura uniforme, e la sua riuscita dipende in larga misura dalle motivazioni del paziente; il terapeuta deve mirare ad ottenere un'adeguata collaborazione facendo fronte all'aumento dei livelli di ansia anticipatoria ed alle distorsioni cognitive che possono comparire durante il trattamento.

Si può aiutare una persona con il DP?

Quando un membro della famiglia è affetto da DP, l'intera famiglia è coinvolta: la paura dell'attacco paralizza e toglie la capacità di fare, il soggetto si chiude in sé stesso, si restringono le possibilità di una vita attiva e i familiari vengono assillati dalle richieste di aiuto. In questi casi l'atteggiamento migliore è quello volto ad aiutare la persona a trovare la corretta diagnosi e la corretta terapia. È importante convincere il paziente a consultare il medico e controllare che rispetti le prescrizioni farmacologiche. Infatti nelle prime fasi della terapia, a causa degli effetti collaterali, il paziente può avere l'impressione di stare peggio: va quindi rassicurato relativamente al fatto che questi farmaci non agiscono subito, ma richiedono alcune settimane e qualsiasi modifica deve essere effettuata su consiglio dello specialista. E altresì determinante mostrare comprensione, partecipazione per lo stato di sofferenza, disponibilità all'ascolto e incoraggiare il paziente evitando di spingerlo ad affrontare le situazioni temute durante la fase acuta del disturbo, senza subire passivamente comportamenti manipolativi, e stimolandolo ad ampliare il suo raggio di azione non appena le crisi sono bloccate dalla terapia specifica.